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Scorpione


Scorpione

Come avrete già letto dal titolo, partiamo col botto: oggi parliamo del segno più odiato/amato dello zodiaco, il più discusso, il più chiacchierato, di certo quello che non lascia indifferenti: lo Scorpione. Emblematica è la sua figura e annessa costellazione, che ha portato il segno di oggi a essere noto in tantissime culture e popolazioni del passato, con annessi miti sul suo conto. Soprattutto per i popoli più antichi, lo Scorpione era spesso collegato a divinità femminili e all’ambito della fertilità.


Già partendo dalla Mesopotamia, infatti, troviamo una dea collegata allo Scorpione: Ishara (talvolta scritta anche come Ishkhara). Era venerata come dea della bellezza, della fecondità (con tutta una serie di riti correlati a essa) e dell’amore, quest’ultimo da intendere più sotto l’aspetto erotico che coniugale. È stata altresì considerata “dea della medicina”, perché si credeva potesse infliggere punizioni fisiche ai bugiardi, e veniva implorata in caso di malattia affinché mostrasse pietà e guarisse gli infermi. Questo aspetto è interessante, a mio avviso, perché ancora oggi si è soliti dire che “è la dose che fa il veleno”, come a sottolineare la stretta correlazione che c’è tra qualcosa che può nuocere ma può rappresentarne anche l’antidoto, ed è solo uno degli aspetti che ritorna nei vari aneddoti e racconti sul conto dello Scorpione.

Prima che Ishara venisse assimilata dalla Mesopotamia, per i Sumeri era nota come Inanna. Assolveva gli stessi ruoli elencati poco sopra, ed era considerata la più importante divinità femminile; era anche la dea che si occupava dell’agricoltura e di regolare i cicli della natura, e non a caso tra i testi più interessanti sul suo conto, nonché di maggior contributo da un punto di vista archeologico, vi è il poema “La discesa di Inanna”. Tale racconto narra la discesa della dea negli Inferi, dove dapprima viene imprigionata, e in seguito le viene concesso di tornare sulla terra durante l’estate e la primavera. Risultano ovvie le somiglianze con il mito di Proserpina, e infatti tale poema è interpretato come una spiegazione del ciclo delle quattro stagioni, con l’alternanza tra luce e ombra. Un’altra chiave di lettura, da un punto di vista psicanalitico, vede la discesa di Inanna nell’Oltretomba come la necessità della psiche umana di confrontarsi e accettare il proprio “lato ombra”, quello maggiormente collegato all’istinto, alla distruzione, al fine di ottenere un maggior equilibrio e una maggior autoconsapevolezza. Anche questo altro elemento è da tener presente per avere, alla fine, un quadro più completo sul segno in questione.


Un’altra religione dove troviamo lo Scorpione declinato al femminile è quella Indù, dove la dea ha il nome di Chelamma. I suoi seguaci si fidano a tal punto della divinità che quando si recano presso il suo santuario a pregare credono che saranno risparmiati dalle punture degli scorpioni.


Anche per gli Aztechi lo Scorpione era una donna: il suo nome era Malinalxochitl, ed era non solo una strega, ma anche la dea di animali tipici dell’habitat desertico: scorpioni, ovviamente, ma anche serpenti e alcuni insetti. Considerata una divinità estremamente potente, era temuta per la sua abilità di provocare deliri e allucinazioni negli esseri umani.


Durante gli Egizi, nell’area del Delta del Nilo nacque il culto della dea Serket, reputata tendenzialmente una divinità comprensiva e benevola, ma con un lato oscuro altrettanto potente, capace di infliggere pene severe qualora fosse in disaccordo su qualcosa o con qualcuno. La sua popolarità si diffuse ben presto nel resto dell’Egitto, probabilmente perché le specie di scorpione più velenose e pericolose si trovano tendenzialmente nei paesi nordafricani. Serket veniva quindi assimilata alla potenza e alla pericolosità degli aracnidi in questione, al punto che anche alcuni Faraoni la elessero come loro protettrice. Ciò che la rendeva tanto temuta era anche, come dicevo prima, la sua ambivalenza, caratteristica donatole proprio dal veleno: ancora una volta ritorna l’elemento di essere morte e antidoto allo stesso tempo, aspetto paventato sia dagli umani che dalle altre divinità.


Secondo la mitologia greca invece, lo Scorpione è presente come il nemico di Orione, mito che (come spesso accade) presenta più versioni. Una di esse dice che Orione, gigante cacciatore, noto per la sua arroganza, non capiva come la dea Artemide non ricambiasse il suo interesse, e cercò quindi di possederla con la violenza. La dea, infuriata, attese che Orione si addormentasse, e le mandò l’animale a lei più caro, lo Scorpione appunto, per vendicarsi e ucciderlo. Un’altra versione dice che Orione fu sconfitto perché convinto di poter uccidere qualsiasi animale selvaggio: la Terra gli inviò quindi lo Scorpione, animaletto piccolo e piatto, per dimostrare al gigante che si sbagliava. Un’ulteriore interpretazione del mito mostra invece l’innocenza del gigante: secondo tale narrazione, fu la dea Artemide, durante le numerose battute di caccia, a innamorarsi perdutamente di Orione, rinnegando così la sua celebre castità. Orione, innamorato di Eos (la dea dell’aurora) rifiutò più volte Artemide, la quale accettò il diniego ed apprezzò la fedeltà del cacciatore. Quando però, in un secondo momento, apprese che Orione si era invaghito delle Pleiadi arrivando addirittura a molestarle, la dea fu posseduta dalla collera e dalla vendetta più crudeli: inviò quindi nella capanna del gigante il suo servo più fedele, lo Scorpione, affinché potesse far giustizia, uccidendo non solo Orione, ma anche il suo fidato cane Sirio. A prescindere dalla narrazione che si sceglie di adottare, questi racconti che ci descrivono Orione e lo Scorpione come acerrimi nemici hanno tutt’oggi un effettivo riscontro anche nell’astronomia: le due costellazioni infatti, sono poste in un modo tale che quando in cielo è possibile vedere l’una, l’altra scompare. E ciò ci mostra anche quanto sia nota, all’umanità stessa, la costellazione dello Scorpione, che era conosciuta appunto già dai Sumeri più di 5000 anni fa.


Per chiudere il discorso inerente lo Scorpione nelle varie culture, va detto che in alcune favole tibetane questo animale rappresenta la vendetta, mentre in alcune leggende buddiste lo Scorpione viene considerato come un’entità capace di mutare il negativo in positivo, e perciò correlato alla trasformazione.


Volendo tirare le fila di tutte queste storie, aggiungo un ultimo particolare, per dimostrare come probabilmente tutto sia davvero più interconnesso di ciò che pensiamo: nei Tarocchi, la carta legata allo Scorpione è il famoso Arcano senza Nome, noto anche come La Morte, col numero 13. Nello Zodiaco, invece, è il segno numero 8, che messo in orizzontale simboleggia l’Infinito. Per coloro che credono all’Astrologia, ogni segno zodiacale ha una sua funzione fondamentale, ed è presente in piccola parte in ognuno di noi. Ogni segno, quindi, ci insegna qualcosa: la lezione dello Scorpione è proprio legata alla morte e alla rinascita, all’idea che nulla è eterno, ma tutto è mutevole e legato a un’evoluzione. Ciò può accadere solo tenendo presente i vari punti evidenziati nel corso del pezzo: accettando e integrando le zone d’ombra presenti in ognuno di noi, e con la consapevolezza che non esiste veleno che non sia anche antidoto, o virus che non sia anche anticorpo. Forse è per questo che, secondo lo Zodiaco, lo Scorpione è tanto magnetico, oscuro e vendicativo quanto inevitabile: perché, come dice una celebre citazione, “Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola”.

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