Il Portone e gli Occhi del Diavolo
- Grazia Manfellotto
- 20 apr
- Tempo di lettura: 3 min

C'è una passeggiata di pochi minuti, ma ricca di fascino e di mistero, che la città di Torino offre a coloro che non hanno paura di farsi suggestionare da una figura tanto famosa quanto temuta a livello mondiale: il Diavolo.
Partiamo dal primo luogo: il Portone del Diavolo si trova precisamente al civico 44 di via XX settembre, ed è l'ingresso di Palazzo Trucchi di Levaldigi. Una rapida occhiata all'ingresso permette subito al passante di ammirarne l'imponenza e la cura dei dettagli: la sua facciata presenta un ricco intarsio, carico di simbologie e raffiguranti -tra le altre cose- fiori, frutta e animali amorini. Tuttavia, un dettaglio in particolare ha il potere di stregare l'osservatore e di fargli comprendere immediatamente il perché di tale nome: il battente bronzeo del portone ritrae infatti proprio Satana, con due serpenti che escono dalla bocca spalancata e vanno ad intrecciarsi componendo la maniglia di tale battente.
Ufficialmente, il portone fu ideato nel 1675 da Pietro Danesi, e realizzato a Parigi per volere del Conte Giovanni Battista Trucchi di Levaldigi. Secondo la leggenda più famosa sul suo conto invece, il Portone del Diavolo comparve all'improvviso una notte, dopo l'invocazione delle forze oscure da parte di un apprendista stregone. Satana, infastidito da tale comportamento, punì l'uomo imprigionandolo nel palazzo, dal quale lo sventurato non riuscì più a uscire.
Un'altra leggenda, risalente al 1790, quando il Palazzo apparteneva a Marianna Carolina di Savoia, narra di un brutale e misterioso omicidio: durante una festa di Carnevale, una delle ballerine cadde a terra dopo essere stata mortalmente pugnalata alle spalle. Né il colpevole, né l'arma del delitto furono mai ritrovati, e nella stessa notte un vento freddo cominciò a soffiare all'interno del Palazzo, spegnendo tutte le luci e facendo fuggire gli invitati terrorizzati. Poco tempo dopo, molte persone cominciarono a vedere il fantasma della donna uccisa girovagare per le stanze del palazzo, mentre un'altra versione parla dell'apparizione di un quadro il giorno successivo al crimine, raffigurante la danzatrice ballare sulle fiamme dell'inferno.
Tempo dopo, precisamente a inizio '800, nel pieno dell'occupazione francese, pare che il maggiore Melchiorre Du Perril fosse entrato nel palazzo per mangiare e partire poco dopo con documenti importanti. L'uomo non uscì mai più da lì, e diversi anni dopo, in seguito a dei lavori di ristrutturazione, gli operai ritrovarono lo scheletro di un uomo imprigionato e sepolto in piedi.
Chicca per gli appassionati di numerologia e Tarocchi: nel '600 il palazzo ha ospitato una fabbrica di Tarocchi, e a quei tempi il suo numero civico era il 15. Negli Arcani Maggiori delle Lame il numero 15 è proprio la carta del Diavolo. E ancora oggi, lungo la strada dove affaccia il portone, è possibile veder transitare il tram con lo stesso numero.
A pochissimi minuti a piedi da Palazzo Trucchi di Levaldigi si arriva a via Lascaris. Qui, ad angolo con Via San Francesco d'Assisi, si trova un palazzo che presenta una serie di strane fessure sui marciapiedi del suo perimetro. Pare che tale costruzione in passato fosse la sede di una Loggia Massonica, e ciò ha contribuito ad alimentare la nomea sinistra di tali aperture, data già in partenza dal loro aspetto inquietante. In effetti, questi spiragli dovevano semplicemente essere dei punti di sfiato e di illuminazione per i locali nel sottosuolo. Non si può fare a meno di chiedersi però il motivo di una forma tanto anomala e nefasta, che abbinata alla componente massonica del passato, contribuisce ad alimentare la suggestione riguardo le energie negative presenti in questi luoghi.
È doveroso concludere questo post menzionando l'ultima caratteristica che accomuna questi due palazzi: oggi entrambi sono la sede di una banca.
Sarà un caso o una cosa voluta?
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