Pertinace
- Alla scoperta del mito
- 15 mag
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Sebbene considerata la pioniera del diritto moderno, l'antica Roma presentava corruzione a ogni livello della società, e chiunque cercasse di contrastarla rischiava pericolose conseguenze.
Ne è l'esempio la vita di Pertinace, imperatore la cui lotta alla corruzione alla fine gli costò la vita.
Nato nel 126 d.C. ad Alba Pompeia (odierna Alba (CN)) e figlio della matrona Lollia Acilia e di Publio Elvio Successo, liberto che aveva fatto fortuna commerciando legname, Pertinace svolse in un primo momento l'attività di insegnante di grammatica, per poi intraprendere la carriera militare a 35 anni.
La sua istruzione e le sue risorse finanziare gli permisero di fare carriera molto in fretta, facendolo diventare dapprima capo di una piccola legione della Gallia in Siria, poi tribuno angusticlavio e infine praefectus alae sotto il comando di Tiberio Claudio Pompeiano.
Pertinace continuò a scalare la gerarchia militare fino ad arrivare, nel 175, a ottenere la nomina a console e a diventare governatore della Siria, dove rimase fino al 183.
Richiamato in patria da Tigidio Perenne, fu proprio la morte di quest'ultimo a farlo ritornare alla ribalta sulla scena politica durante il regno di Commodo, che aveva bisogno di sedare gli ammutinamenti scoppiati in Britannia nel 184.
Pertinace venne così nominato governatore dell'isola e ci rimase fino 188, quando tornò poi a Roma e venne nominato prima praefectus Urbis e poi proconsole d'Africa nel 190.
In seguito all'assassinio di Commodo, nel 192, il trono dell'Impero si ritrovò improvvisamente vuoto, causando vari disordini anche per via del fatto che Commodo non lasciò nessun erede diretto.
A questo punto spettava alla Guardia Pretoriana proclamare un nuovo imperatore e la scelta ricadde proprio su Pertinace, nominato da Quinto Emilio Leto e da Ecletto, due tra i protagonisti della congiura contro Commodo.
Pertinace accettò volentieri, ma si ritrovò ben presto a fare i conti con delle finanze letteralmente esauste e dissestate e, dopo aver pensato di cedere il trono al senatore Acilio Glabrione, si vide costretto ad attuare una serie di riforme economiche e agrarie, che lo resero inviso a politici e cittadini.
Ad aggravare la sua già instabile posizioni contribuirono anche le sue denunce contro funzionari colpevoli di appropriazione indebita e corrotti, e le sue promesse non mantenute nei confronti dei Pretoriani che si aspettavano laute ricompense dopo averlo posto a capo dell'Impero.
Una prima cospirazione ai suoi danni fu scoperta e sventata, ma una seconda, nel marzo 193, gli fu fatale.
La Guardia Pretoriana assalì il palazzo e, abbandonato dalle sue guardie, Pertinace rimase ad attendere la morte insieme al suo segretario Ecletto.
Di fronte a tale coraggio i soldati si fermarono per un attimo, fin quando uno di loro scagliò una freccia che gli trafisse il petto.
Finito poi da numerose pugnalate, venne decapitato e la sua testa infilata su una lancia e portata in sfilata per le strade di Roma.
Alla sua morte scoppiò una breve guerra civile vinta infine da Settimio Severo che, acclamato imperatore, riconobbe Pertinace come imperatore legittimo e convinse il senato a concedergli l'apoteosi e i funerali di stato, oltre che l'organizzazione di giochi in suo onore nel giorno della sua nascita.
Niccolò Machiavelli ne Il Principe (1513-1514) sottolinea come Pertinace sia l'esempio che ci si può procurare odio anche a causa della troppo onestà, e che bisogna essere pronti a "esser non troppo buoni" se le circostanze lo richiedono.
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