Il mistero delle mummie "drogate"
- Alla scoperta del mito
- 8 giu
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Il mistero delle "mummie drogate" ha origine nel 1992, quando la tossicologa tedesca Svetlana Balabanova, dell'Istituto di Medicina Legale dell'Università di Ulm, analizzò i capelli della mummia egizia della regina Henuttawy, conservata al Museo di Monaco. Con grande sorpresa, l'esame rivelò la presenza di nicotina e cocaina, sostanze ritenute esclusive del Nuovo Mondo fino ai viaggi di Colombo.
Incuriosita dai risultati, la Balabanova ampliò la ricerca, coinvolgendo altre mummie egizie, peruviane, e scheletri provenienti dal Sudan e dall'Europa. Alla fine del 1992, i test su undici mummie egizie mostrarono nicotina in tutte, cocaina in otto e hashish in dieci. Tra le settantadue mummie peruviane analizzate, ventisei contenevano nicotina, sedici cocaina e venti hashish. I due scheletri sudanesi risultarono positivi solo alla nicotina, mentre otto dei dieci scheletri tedeschi mostravano tracce di nicotina, ma nessuno conteneva cocaina o hashish.
La scoperta suscitò un acceso dibattito accademico. Gli egittologi rifiutarono categoricamente l'idea di un commercio transatlantico di stupefacenti prima del 1000 a.C., mentre la Balabanova difese la validità delle sue analisi, senza formulare ipotesi sulle implicazioni storiche.
Nel 1997, ulteriori studi confrontarono i livelli di nicotina delle mummie egizie con quelli di fumatori moderni, evidenziando concentrazioni anomale. La spiegazione più plausibile suggeriva l'uso di sostanze ricche di nicotina durante il processo di imbalsamazione. Infatti, già nel 1979, nell'autopsia della mummia di Ramsete II a Parigi, erano state trovate foglie di tabacco triturate, impiegate probabilmente per le loro proprietà insetticide.
Tuttavia, questa teoria non spiegava la presenza di nicotina nei corpi mummificati naturalmente in Egitto ed Europa. La Balabanova ipotizzò allora l'esistenza di piante oggi estinte, appartenenti alla famiglia delle Solanacee, utilizzate nell'antico Egitto a scopo medicinale.
Le analisi della Balabanova furono pubblicate sulla rivista tedesca Naturwissenschaften, destando scalpore. Le critiche della comunità scientifica non tardarono ad arrivare: le contestazioni si focalizzarono su possibili contaminazioni esterne e su errori metodologici, come l'identificazione del THC con l'hashish. Alcuni studiosi evidenziarono come il deterioramento delle mummie nel tempo e i trattamenti moderni potessero spiegare la presenza di nicotina e cocaina.
Nonostante le critiche, la Balabanova proseguì con ulteriori ricerche, trovando tracce di droghe in sepolture sparse in vari continenti. Alcuni sostennero che la coca fosse giunta in Egitto attraverso rotte commerciali dall'India, dove la pianta cresce ancora oggi. Questa ipotesi appariva più plausibile rispetto a viaggi transoceanici precolombiani.
La controversia raggiunse il grande pubblico grazie al documentario The Curse of the Cocaine Mummies (1997), trasmesso su Discovery Channel, che alimentò ulteriormente l'immaginario di un antico Egitto legato a sostanze psicoattive e viaggi oltre l'Atlantico.
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