I Colossi di Memnone
- Alla scoperta del mito
- 4 giu
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Due imponenti statue di pietra scrutano da millenni il lento scorrere del Nilo, rivolte verso il sole nascente. Sono i Colossi di Memnone, monumentali raffigurazioni del faraone Amenhotep III, che si ergono sulla riva occidentale del fiume, di fronte all’odierna Luxor. Eretti oltre 3400 anni fa, questi giganti di pietra facevano parte del grandioso Tempio di Milioni di Anni, un luogo di culto che ogni faraone del Nuovo Regno dedicava a sé stesso per affermare la propria natura divina.
Le statue gemelle rappresentano Amenhotep III (XV secolo a.C.) in posizione seduta, con le mani sulle ginocchia e lo sguardo rivolto ad est, verso il Nilo e il sole nascente. Accanto alle sue gambe sono scolpite due figure più piccole: la moglie Tiy e la madre Mutemuia. I pannelli laterali raffigurano il dio del Nilo, Hapy. Ogni colosso è alto 18 metri, considerando la piattaforma su cui poggia, e pesa circa 1300 tonnellate. Furono scolpiti da blocchi di quarzite estratti probabilmente a Giza o a Gebel el-Silsileh, a oltre 600 km di distanza.
All’epoca della loro costruzione, i colossi fungevano da guardiani del Tempio di Milioni di Anni di Amenhotep III, un complesso monumentale di 35 ettari, il più grande e opulento dell’intero Egitto. Tuttavia, il tempio venne progressivamente distrutto dalle esondazioni annuali del Nilo e dall’azione degli stessi faraoni successivi, che riutilizzarono i suoi blocchi per altre costruzioni. Oggi, delle strutture originarie rimangono solo le due imponenti statue.
Nel 27 a.C., un violento terremoto danneggiò gravemente uno dei due colossi, facendone crollare la parte superiore e provocando delle crepe nella metà inferiore. Da quel momento, ogni mattina all’alba si udiva un suono misterioso provenire dalla statua, che i viaggiatori greci e romani interpretarono come un canto divino. Associarono così i colossi al mitico Memnone, re etiope che combatté nella guerra di Troia e fu ucciso da Achille. Secondo il mito, Memnone era figlio di Eos, la dea dell’aurora, che ogni mattina piangeva la sua morte con lacrime di rugiada. Il suono proveniente dalla statua fu quindi visto come il saluto del re defunto alla madre.
Storiografi come Strabone, Pausania, Tacito e Giovenale testimoniarono il fenomeno, che divenne celebre nell’antichità e attrasse viaggiatori illustri, tra cui imperatori romani. Circa 90 iscrizioni lasciate dai visitatori antichi attestano il fascino esercitato dalla "statua parlante". Tuttavia, nel 199 d.C., l’imperatore Settimio Severo ordinò il restauro della statua nel tentativo di ingraziarsi l’oracolo. Dopo i lavori, il canto cessò definitivamente, probabilmente a causa della chiusura delle fenditure che permettevano alla rugiada di evaporare e generare il suono.
I due colossi non erano le uniche statue del complesso funerario. Scavi archeologici hanno riportato alla luce altre statue colossali di Amenhotep III, alte tra gli 11 e i 15 metri, insieme ai resti del tempio ormai scomparso. Oggi, l’area è oggetto di restauri, con l’obiettivo di recuperare e preservare le vestigia di questo antico splendore.
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