Guerre Greco-Persiane (8) - La battaglia di Platea
- Alla scoperta del mito
- 15 apr
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L'esercito Persiano aveva ridotto in cenere la città di Atene, ma la disastrosa sconfitta nella battaglia di Salamina aveva precluso ogni possibilità di una invasione navale persiana nella penisola del Peloponneso. Serse tornò quindi in Asia con buona parte dell'esercito, ma lasciò al generale Mardonio uomini a sufficienza per conquistare via terra il resto delle città greche.
Dopo aver conquistato la quasi totalità delle città a nord della Grecia, l'esercito Persiano iniziò a marciare verso sud, con l'intento di sottomettere l'intera regione.
L'esercito formato da oltre trecentomila uomini si accampò nei pressi della città di Platea, in Beozia. Nel frattempo, sotto la guida del comandante Pausania i Greci si schierarono di fronte alle linee nemiche, ma rimanendo in una zona sopraelevata.
I Greci schieravano sul lato sinistro del fronte i guerrieri ateniesi, al centro un misto di soldati provenienti da varie regioni, mentre sulla destra era schierato l'esercito spartano.
Dopo qualche giorno di attesa, il generale Mardonio ordinò ai suoi arcieri di sparare sulle prime linee greche, cercando così di indebolire e spaventare i nemici. L'attacco però si rivelò controproducente: gli arcieri vennero annientati dai greci, che in questo modo guadagnarono morale e soprattutto metri sul campo di battaglia, avvicinandosi così pericolosamente all'accampamento nemico.
Nessuno dei due eserciti osava attaccare per primo. I greci temevano il combattimento in campo aperto contro la possente cavalleria persiana, mentre questi ultimi sapevano bene che il posizionamento delle truppe greche era molto favorevole ai difensori.
I Persiani decisero allora di agire in altro modo, e riuscirono a bloccare i rifornimenti diretti al campo greco.
Affamati e assetati, i greci non potevano restare in quella posizione di attesa, e un attacco sarebbe stato un suicidio a tutti gli effetti. Optarono quindi per la ritirata, ma date le differenti origini dei soldati che formavano l'esercito, la mossa fu molto disorganizzata.
Mardonio, intuendo il momento di caos, colse l'attimo e ordinò alle truppe di lanciarsi all'attacco contro l'esercito greco in difficoltà. Le falangi tebane, alleate persiane, andarono a scontrarsi contro quelle ateniesi, mentre la cavalleria aggredì gli spartani. Nel frattempo la fanteria si faceva strada al centro, con l'aiuto degli arcieri che decimavano la cavalleria centrale greca.
I primi a rispondere all'attacco furono gli spartani, che favoriti anche dalla forza di gravità, riuscirono a respingere i nemici di nuovo ai piedi della collina. I Persiani cercarono di spezzare le lance dei Greci con le mani, ma gli Elleni, a quel punto, sguainarono le spade. Mardonio assistette alla battaglia in sella a un cavallo bianco, circondato da una guardia del corpo di mille uomini, tuttavia gli Spartani riuscirono ad accerchiarlo e un soldato di nome Arimnesto, vistolo in sella al suo cavallo, raccolse una gran pietra da terra e la scagliò verso di lui: Mardonio venne colpito alla testa e morì.
Dopo la morte del loro generale i Persiani si diedero alla fuga e i pochi che rimasero sul campo di battaglia vennero annientati in pochissimo tempo.
Secondo Erodoto solo quarantatremila Persiani sopravvissero alla battaglia, a fronte dei trecentomila che l'avevano iniziata.
L'esercito Persiano era stato finalmente sconfitto, la Grecia era libera.
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