Dioniso
- Alla scoperta del mito
- 11 apr
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Dio greco del vino, dell'estasi e dell'ebbrezza, Dioniso incarna in pieno gli istinti primordiali presenti in ogni essere vivente.
Le notizie sulle sue origini sono molto complesse e spesso contrastanti. Di sicuro è figlio di Zeus, ma la natura della madre è vittima di numerosissime interpretazioni e versioni; la più accreditata è comunque quella che vede come genitrice Semele, figlia di Armonia e Cadmo, re di Tebe.
Secondo questa versione quando il padre degli dèi tornò dalla sua amante, questa gli chiese di offrirle un regalo ed egli promise di esaudire qualsiasi desiderio della fanciulla. Semele chiese allora al re degli dèi di manifestarsi in tutta la sua potenza. Zeus, disperato, fu costretto a realizzare la richiesta di Semele, che rimase uccisa.
Per impedire che il bambino morisse, Gea fece crescere dell'edera fresca in corrispondenza del feto; ma Zeus incaricò Ermes di strappare il feto dal ventre materno e se lo fece cucire dentro la coscia. Passati altri tre mesi e finito il periodo di gestazione, il sovrano degli dèi partorì il bambino, perfettamente vivo e formato, dandogli il nome di Dioniso che vuol dire il "nato due volte" o anche "il fanciullo dalla doppia porta".
Il neonato venne alla luce con delle piccole corna, e Zeus lo affidò alle cure di Ermes, che lo portò alle Iadi, ninfe dei boschi. Queste crebbero con amore il bambino, e infine lo affidarono a Sileno, figlio di Pan, e alla sua straordinaria saggezza.
Dioniso e il suo precettore iniziarono a vagare per il mondo, molto spesso in compagnia di satiri e baccanti, e raggiunsero le destinazioni più disparate e lontane, come Egitto e India, e affrontando sul percorso amazzoni e titani.
Tornato in Grecia noleggiò una nave da alcuni giovani marinai diretti a Nasso; questi si rivelarono poi essere pirati che intendevano vendere il dio come schiavo in Asia, ma Dioniso si salvò tramutando in vite l'albero maestro della nave e sé stesso in leone, popolando nel contempo la nave di fantasmi di animali feroci che si muovevano al suono di flauti.
I marinai, sconvolti, si gettarono in mare ma il dio li salvò trasformandoli in delfini: pur consapevoli che non avrebbero più riacquistato la forma umana, i giovani compresero anche che il dio aveva voluto concedere loro la possibilità di riscattarsi, e così dedicarono il resto della loro vita a salvare i naufraghi. Per essersi dimostrato più buono degli altri pirati, Acete, il timoniere, non subì metamorfosi, divenendo sacerdote del dio.
Quando Dioniso giunse nella sua città natale, Tebe, il sovrano Penteo, suo cugino, si oppose ai nuovi riti introdotti dal dio, facendo arrestare Acete e alcune Menadi. La vendetta di Dioniso su Tebe e sulla sua famiglia è narrata da Euripide nella tragedia intitolata Le Baccanti, composta mentre si trovava alla corte del re Archelao di Macedonia.
Dioniso vuole anche punire l'intera città che continua a negare la sua divinità e si rifiuta pertanto di adorarlo. Le cittadine tebane lasciano la città per andare nei boschi del monte Citerone a celebrare le orge sacre a Dioniso.
Infine il dio spinge lentamente alla pazzia anche re Penteo, convincendolo a travestirsi da donna per andare a spiare le menadi mentre celebrano nei tiasi i riti sacri al dio. Attirato sul monte Citerone, lo fa uccidere dalle donne tebane, che invasate dalla divinità, scambiano Penteo per un animale selvatico; il sovrano viene letteralmente fatto a pezzi.
La prima ad avventarsi su di lui è proprio Agave, sua madre, posta a capo di un gruppo di baccanti. La donna torna a Tebe con la testa del figlio su una picca e non riconosce il proprio figlio se non quando oramai è troppo tardi e non può far altro che versare amarissime lacrime. Dioniso infine condanna all'esilio da Tebe i suoi parenti, garantendo così la sua totale vendetta.
Una volta riconosciuto come dio, secondo la volontà di Zeus, Dioniso ascende all'Olimpo.
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